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mercoledì 29 giugno 2011

Risarcimento da mancato recepimento di diriettiva comunitaria

La Suprema Corte di cassazione con una recente pronuncia fissa il principio della risarcibilità del danno per mancato recepimento di una direttiva comunitaria. Infatti i cittadini dello Stato membro che dal mancato recepimento di una direttiva non self - executive hanno un danno dei propri interessi economici possono chiedere il risarcimento dello stesso allo Stato di apparttenenza. Il diritto si prescrive in dieci anni dal recepimento.
La sentenza della Suprema Corte è importante, in quanto da al cittadino azione diretta per il risarcimento del danno per mancato recepimento nei confronti dello Stato inadempiente, postulando che l'adempimento di recepimento è sia nei confronti del legislatore comunitario che dei propri cittadini che hanno interesse all'attuazione della direttiva.


Massima:
Il mancato recepimento di una direttiva non self-execiting, le cui norme non possono essere invocate direttamente dai singoli, comporta una responsabilità dello Stato per inadempimento, con la conseguenza che sarà tenuto a risarcire i singoli dei danni causati dalla mancata trasposizione o dal non corretto recepimento della direttiva scaduta. Il termine di prescrizione per l'azione di risarcimento ha durata decennale e inizia a decorrere dal giorno in cui entra in vigore la normativa italiana di recepimento. Se lo Stato non provvede alla trasposizione dell'atto Ue non potrà essere applicato alcun termine di prescrizione.
( fonte: Guida al diritto,2010, 27, 13)

mercoledì 2 febbraio 2011

Fecondazione assistita eterologa. La questione sollevata innanzi alla Corte Costituzionale. Brevi cenni.

Oggi nell’indagare i segreti della vita, il divieto di procedere alla fecondazione assistita eterologa può rappresentare certamente un piano di scontro tra diverse concezioni dottrinarie.
Il divieto imposto dalla legge italiana (Legge n.40/2004) di procedere alla fecondazione assistita eterologa è qualcosa su cui si deve prendere una posizione. Esiste un contrasto nascente sul piano giuridico a seguito della ratifica del trattato di Lisbona.
Ed infatti in forza dell’art. 6 del suddetto trattato ratificato il 1/12/2009 e della conseguente integrazione del sistema CEDU nell’ordinamento comunitario si paventerebbe un contrasto tra gli artt. 4, c.3, L.n.40/2004 e gli artt. 8 e 14 della CEDU. Infatti a seguito della ratifica del Trattato di Lisbona, in considerazione del richiamo operato dall’art.6, paragrafo 3, del riformato Trattato UE, l’Unione aderisce alla CEDU e che “i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali” per cui vi è stata, o meglio vi sarà, la comunitarizzazione ovvero l’ingresso del sistema CEDU nell’ambito del diritto della UE, con tutte le conseguenze in punto di modalità di adeguamento del diritto interno a quello sovrannazionale e dei rapporti fra i sistemi normativi non più fondati sull’art.117 Cost , ma sull’ art.11 Cost. .
Il rapporto della funzione di ingresso del diritto CEDU nel nostro ordinamento giuridico è importante e può cambiare le sorti dei cittadini stessi.
Se non si accetta la possibilità self executive del dettato dell’art. 6 del Trattato UE, ma si indica la necessità di trovare, ovvero attendere la norma di attuazione ove si ritenga che l’adesione della UE al sistema CEDU non sia ancora avvenuta in quanto il protocollo n.8, allegato al trattato, prevede alcuni requisiti che ad oggi non si sono verificati ( modalità dell’eventuale partecipazione dell’Unione agli organi di controllo, ecc). La questione del ritenuto contrasto fra una disposizione CEDU ed una norma di diritto interno si pone nei termini attestati nella giurisprudenza della Corte Costituzionale a partire dalla sentenze nn. 348 e 349 del 2007, dove conferma l’applicazione dell’art. 117 Cost. e non gli artt. 10 e 11 Cost. con tutte le conseguenze.
Dunque in tema di procreazione medicalmente assistita nasce una questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, co. 3, L.n.40/2004 per contrasto con l’art. 117, co.1, Cost. in relazione al combinato disposto degli artt. 8 ( diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 14 ( divieto di discriminazione) CEDU, come interpretato dalla sentenza della CEDU del 1 aprile 2010, e con l’art. 3 Cost. nella parte in cui esclude il ricorso alla fecondazione eterologa ( in tal senso, Ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale del Tribunale di Firenze del 13/9/2010 ).
Tale tributo alla dea Giunone va dato perché la legge n.40 del 2004 indica che la vita è già presente nella fecondazione dell’ovulo femminile da parte dello spermatozoo maschile, quando l’encefalo non è neppure formato. Da cui il consequenziale divieto di manipolazione degli ovuli si concretizza in un divieto di manipolazione della vita, assurgendo alla vita come dono divino.
Ma l’uomo in quanto tale ha o no il diritto di ricercare le origini della vita ?
Tema etico che muove uno scontro profondo nella attuale società, che si scontra con il tema del testamento biologico, ovvero del diritto di libertà di decidere il proprio destino post mortem, ossia dopo la morte dell’encefalo.
Come è ben noto il momenti legislativi che individuano la vita e la morte sono diversi e discordanti tra loro: per la L.n. 578 del 1993 la vita è l’attività encefalica e la morte è la sua assenza, per la L.n. 194 del 1978 la vita si manifesta dopo il novantesimo giorno di gestazione, per la L.n. 40 del 2004 la vita è già presente nella fecondazione dell’ovulo femminile da parte dello spermatozoo.
La riflessione sul momento iniziale della vita deve essere posta con attenzione, atteso che abbracciare l’una o l’altra teoria determina ai sensi dell’art. 6 del Trattato UE una valenza costituzionale di regole generalmente accettate e come tali con un ampia potenzialità di influenzare gli ordinamenti giuridici dei vari Stati.
Infatti allorquando l’art. 6 del Trattato UE sarà pienamente operativo, i principi CEDU e la giurisprudenza CEDU entreranno negli ordinamenti dei singoli stati membri con la forza delle leggi, come oggi i regolamenti e le sentenze della Corte di Giustizia CEE. Tale articolo individua anche le tradizioni costituzionali dei singoli stati membri, e dunque il pensiero corre agli stati con una costituzione flessibile e basati su sistemi giuridici di common law, come è del resto il sistema CEDU. Atteso che al giudice nazionale, attualmente, in quanto giudice comune della convenzione europea (CEDU) spetta il compito di applicare le relative norme nell’interpretazione offerta dalla Corte di Strasburgo, alla quale questa competenza è stata espressamente attribuita dagli Stati contraenti. Infatti attualmente in caso si profili un contrasto tra una norma interna e una norma della Convenzione europea, il giudice nazionale comune deve procedere ad una interpretazione della prima conforme a quella convenzionale, fino a dove ciò sia consentito dal testo delle disposizioni a confronto e avvalendosi di tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica. Ovviamente l’apprezzamento della giurisprudenza europea consolidatasi sulla norma conferente va operato in modo da rispettare la sostanza di quella giurisprudenza, secondo un criterio già adottato dal giudice comune e dalla Corte europea ( Cass. 20/5/2009, n. 10415; Corte eur.dir.uomo 31/3/2009, n. 22644/03)[ così, ordinanze di rimessione del Tribunale di Firenze e Catania].
In conclusione termino con l’affermare che la conoscenza è indice di conflitto dell’essere umano sia a livello interiore che esteriore. Ossia sia su un piano di cognizione della propria identità e della capacità di esprimere la propria libertà nella non conflittualità esteriore, sia su un piano strettamente sociale dove ricade nella volontà di indottrinamento delle cognizioni e blocco dello sviluppo scientifico per la progressione nella conoscenza.