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venerdì 16 dicembre 2016


REPUBBLICA ITALINA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale di XXXX


in persona del GOT – avv. Leonardo F.R. Ferrara in funzione di giudice unico, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile, iscritta al n. ___del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell’anno 
Tra

Intimante/ opposto-
E

- intimato / opponente –
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con atto di citazione per la convalida di sfratto per morosità la parte intimante chiedeva la suddetta convalida ed il rilascio dell’immobile locato.
Si costituiva l’intimata contestando la veridicità della firma sul contratto di locazione attivato.
Non veniva concessa la convalida e di seguito si emetteva ordinanza provvisoria di rilascio, atteso che nessuna delle parti costituite avanzava istanza di verificazione o meglio querela di falso.
Ed in vero con le nuove formulazioni a decorrere dalla legge N. 311/2004 vi è un obbligo di registrazione sotto pena di nullità, ed infatti per l’obbligo di registrazione del contratto stesso, previsto per entrambi i tipi delle locazioni (abitative e non) dall’art. 1, co. 346 L. 311/2004, che recita testualmente: “ i contratti di locazione o che, comunque costituiscono diritti relativi di godimento di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, sono nulli se ricorrendone i presupposti, non sono registrati”.
Per la registrazione del contratto, infatti, si chiede la produzione di documento scritto in cui la forma è richiesta ad regolaritatem ossia per esigenze   di pubblicità  o fiscali come, per fare altro esempio, per quei contratti con cui si trasferisce la proprietà di beni mobili registrati.
Si parla, al riguardo, di un terzo tipo di forma  dei contratti  accanto a quelli tradizionali  per cui essa è richiesta ad substantiam ovvero ad probationem.
La disposizione dell’art 1, co 346 della L.311/2004 – che ha resistito alle eccezioni di illegittimità costituzionale sollevate, sotto vari profili, da alcuni Tribunali, viste le decisioni di inammissibilità e manifesta infondatezza adottate dal Giudice delle Leggi con ordinanze 420/2007, 389/2008, 110/2009- riprende ed amplia gli effetti dell’art 1 L. 431/1998, atteso che per la  validità ed efficacia dei contratti di locazione, questi non solo devono rivestire la forma scritta ma devono anche essere registrati.
Con una pertinente precisazione, il Tribunale di Roma, con sentenza 16/6/2011 ha evidenziato che il documento attestante la registrazione dell’accordo verbale, comunque non sanerebbe la invalidità derivante dalla mancanza di forma scritta, prevista da substantiam.
In buona sostanza, se per le locazioni abitative la forma è richiesta ad substantiam, lo stesso non può dirsi per quelle ad uso diverso in cui la necessità dell’atto scritto deriva dalla previsione legislativa dell’adempimento fiscale rappresentato dalla registrazione del contratto.Da ciò deriva che si è in presenza di una “nullità di protezione”, introdotta di recente in ambito giuridico con lo scopo di riconoscere tutela al contraente più debole, il conduttore, come nell’esempio del consumatore nei confronti dell’imprenditore. Una nullità, che proprio perché accordata ad una parte contrattuale può solo da questa essere fatta valere allorché ricorrano le condizioni di legge (pretesa del locatore per la instaurazione di un rapporto di fatto, come accade  con riguardo alle rilevabilità delle nullità relative).
In tale ottica va fatta una riflessione sul combinato disposto dell’art.3 e 41 Cost, ovvero sulla riconduzione della parità dei contraenti anche in funzione di uso degli strumenti processuali di tutela. Infatti se si pone un maggior obbligo al locatore nella doverosa registrazione ad substanziam e la creazione, così, di un terzo tipo di contratto che va ad affiancare quelli codicistici ( scrittura privata e atto pubblico), si deve notare un riverbero processuale del rovesciamento dell’onere probatorio, dove per la paralisi delle azioni di esecuzione contrattuale non si ritiene più sufficiente il disconoscimento della autografia, ma bensì l’attivazione della procedura di querela di falso con onere a carico della parte che disconosce l’autografia, proprio in riferimento alla verificazione della sussistenza delle “nullità di protezione” dovute e nascenti dalla esistente o mancata registrazione dell’atto, assumendo nei contratti di locazione una portata di validità dell’atto stesso differente dalla semplice scrittura privata e ricadente nelle tipicità dell’atto pubblico e/o inserito in pubblici registri.
La presenza di una nullità forte del contratto non registrato si rileva ulteriormente dall’art. 1, co. 346, della legge finanziaria del 2004 ( l.n. 311/2004) allorquando per superare la pronuncia di illegittimità costituzionale della legge precedente sulla sanzione di nullità del contratto di locazione non registrato si dava maggior forza e rappresentatività dell’efficacia della nullità disponendo la registrazione come condizione di efficacia del contratto stesso. Da qui deriva un corollario che indica nella registrazione del contratto la condizione di efficacia dello stesso e la rilevazione delle nullità connesse e correlate come la mancanza del consenso, atteso che disconoscere la propria autografia implica, in modo, incontrovertibile il vizio del consenso nelle nullità codicisticamente disciplinate; ed in tal guisa il disconoscimento di un documento che con la registrazione e conservazione in pubblici archivi trova un naturale rovesciamento dell’onere probatorio per la sua paralisi esecutiva.
In merito all’onere probatorio: "La parte che sostenga la non autenticità della propria apparente sottoscrizione apposta su scrittura privata non riconosciuta e per la quale non sia necessario esperire querela di falso, può sì agire in via principale per far accertare tale non autenticità, ma questo accertamento dovrà essere effettuato secondo le ordinarie regole probatorie e non già, dunque, con l'applicazione della speciale procedura di verificazione prevista dagli articoli 214 segg. codice procedura civile per la differente ipotesi di disconoscimento incidentale in corso di causa"( Cass. Sent. n. 1677 del 23/7/2014), rigettando le istanze sia in primo che in secondo grado, il debitore apparente ricorreva per Cassazione denunciando violazione delle norme in tema di onere della prova e verificazione di scrittura privata e invocando l'accertamento della non autenticità delle sottoscrizioni; la declaratoria di inesistenza dell'obbligazione cambiaria e la cancellazione dei protesti. Per la Cassazione, il ricorso è infondato, poiché il ricorrente avrebbe dovuto assolvere l'onere probatorio posto a suo carico per regola generale ex art. 2697 c.c., fornendo la prova della non autenticità delle sottoscrizioni a suo nome apposte sulle cambiali protestate. Né può avere rilievo, per la S.C., il mancato ordine di esibizione dei titoli in originale ex art. 210 c.p.c., da parte del giudice di merito stante “la sua finalità meramente strumentale e di ingresso ad accertamenti istruttori successivi posti a carico di parte attrice”.
Trovandoci di fronte a nuove evoluzioni dottrinarie ed applicative del diritto positivo appare equo compensare le spese tra le parti.
p.q.m.
definitivamente pronunciando sulla domanda così si decide:
  • Convalida lo sfratto e dispone la restituzione immediata dell’immobile al locatore;
  • Compensa le spese tra le parti.
Così deciso in _____, il 28/07/2016
Il GOT

Avv. Leonardo F.R.Ferrara

giovedì 30 ottobre 2014

Sentenza Bancarotta - assoluzione

mercoledì 29 giugno 2011

Risarcimento da mancato recepimento di diriettiva comunitaria

La Suprema Corte di cassazione con una recente pronuncia fissa il principio della risarcibilità del danno per mancato recepimento di una direttiva comunitaria. Infatti i cittadini dello Stato membro che dal mancato recepimento di una direttiva non self - executive hanno un danno dei propri interessi economici possono chiedere il risarcimento dello stesso allo Stato di apparttenenza. Il diritto si prescrive in dieci anni dal recepimento.
La sentenza della Suprema Corte è importante, in quanto da al cittadino azione diretta per il risarcimento del danno per mancato recepimento nei confronti dello Stato inadempiente, postulando che l'adempimento di recepimento è sia nei confronti del legislatore comunitario che dei propri cittadini che hanno interesse all'attuazione della direttiva.


Massima:
Il mancato recepimento di una direttiva non self-execiting, le cui norme non possono essere invocate direttamente dai singoli, comporta una responsabilità dello Stato per inadempimento, con la conseguenza che sarà tenuto a risarcire i singoli dei danni causati dalla mancata trasposizione o dal non corretto recepimento della direttiva scaduta. Il termine di prescrizione per l'azione di risarcimento ha durata decennale e inizia a decorrere dal giorno in cui entra in vigore la normativa italiana di recepimento. Se lo Stato non provvede alla trasposizione dell'atto Ue non potrà essere applicato alcun termine di prescrizione.
( fonte: Guida al diritto,2010, 27, 13)

mercoledì 2 febbraio 2011

Fecondazione assistita eterologa. La questione sollevata innanzi alla Corte Costituzionale. Brevi cenni.

Oggi nell’indagare i segreti della vita, il divieto di procedere alla fecondazione assistita eterologa può rappresentare certamente un piano di scontro tra diverse concezioni dottrinarie.
Il divieto imposto dalla legge italiana (Legge n.40/2004) di procedere alla fecondazione assistita eterologa è qualcosa su cui si deve prendere una posizione. Esiste un contrasto nascente sul piano giuridico a seguito della ratifica del trattato di Lisbona.
Ed infatti in forza dell’art. 6 del suddetto trattato ratificato il 1/12/2009 e della conseguente integrazione del sistema CEDU nell’ordinamento comunitario si paventerebbe un contrasto tra gli artt. 4, c.3, L.n.40/2004 e gli artt. 8 e 14 della CEDU. Infatti a seguito della ratifica del Trattato di Lisbona, in considerazione del richiamo operato dall’art.6, paragrafo 3, del riformato Trattato UE, l’Unione aderisce alla CEDU e che “i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali” per cui vi è stata, o meglio vi sarà, la comunitarizzazione ovvero l’ingresso del sistema CEDU nell’ambito del diritto della UE, con tutte le conseguenze in punto di modalità di adeguamento del diritto interno a quello sovrannazionale e dei rapporti fra i sistemi normativi non più fondati sull’art.117 Cost , ma sull’ art.11 Cost. .
Il rapporto della funzione di ingresso del diritto CEDU nel nostro ordinamento giuridico è importante e può cambiare le sorti dei cittadini stessi.
Se non si accetta la possibilità self executive del dettato dell’art. 6 del Trattato UE, ma si indica la necessità di trovare, ovvero attendere la norma di attuazione ove si ritenga che l’adesione della UE al sistema CEDU non sia ancora avvenuta in quanto il protocollo n.8, allegato al trattato, prevede alcuni requisiti che ad oggi non si sono verificati ( modalità dell’eventuale partecipazione dell’Unione agli organi di controllo, ecc). La questione del ritenuto contrasto fra una disposizione CEDU ed una norma di diritto interno si pone nei termini attestati nella giurisprudenza della Corte Costituzionale a partire dalla sentenze nn. 348 e 349 del 2007, dove conferma l’applicazione dell’art. 117 Cost. e non gli artt. 10 e 11 Cost. con tutte le conseguenze.
Dunque in tema di procreazione medicalmente assistita nasce una questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, co. 3, L.n.40/2004 per contrasto con l’art. 117, co.1, Cost. in relazione al combinato disposto degli artt. 8 ( diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 14 ( divieto di discriminazione) CEDU, come interpretato dalla sentenza della CEDU del 1 aprile 2010, e con l’art. 3 Cost. nella parte in cui esclude il ricorso alla fecondazione eterologa ( in tal senso, Ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale del Tribunale di Firenze del 13/9/2010 ).
Tale tributo alla dea Giunone va dato perché la legge n.40 del 2004 indica che la vita è già presente nella fecondazione dell’ovulo femminile da parte dello spermatozoo maschile, quando l’encefalo non è neppure formato. Da cui il consequenziale divieto di manipolazione degli ovuli si concretizza in un divieto di manipolazione della vita, assurgendo alla vita come dono divino.
Ma l’uomo in quanto tale ha o no il diritto di ricercare le origini della vita ?
Tema etico che muove uno scontro profondo nella attuale società, che si scontra con il tema del testamento biologico, ovvero del diritto di libertà di decidere il proprio destino post mortem, ossia dopo la morte dell’encefalo.
Come è ben noto il momenti legislativi che individuano la vita e la morte sono diversi e discordanti tra loro: per la L.n. 578 del 1993 la vita è l’attività encefalica e la morte è la sua assenza, per la L.n. 194 del 1978 la vita si manifesta dopo il novantesimo giorno di gestazione, per la L.n. 40 del 2004 la vita è già presente nella fecondazione dell’ovulo femminile da parte dello spermatozoo.
La riflessione sul momento iniziale della vita deve essere posta con attenzione, atteso che abbracciare l’una o l’altra teoria determina ai sensi dell’art. 6 del Trattato UE una valenza costituzionale di regole generalmente accettate e come tali con un ampia potenzialità di influenzare gli ordinamenti giuridici dei vari Stati.
Infatti allorquando l’art. 6 del Trattato UE sarà pienamente operativo, i principi CEDU e la giurisprudenza CEDU entreranno negli ordinamenti dei singoli stati membri con la forza delle leggi, come oggi i regolamenti e le sentenze della Corte di Giustizia CEE. Tale articolo individua anche le tradizioni costituzionali dei singoli stati membri, e dunque il pensiero corre agli stati con una costituzione flessibile e basati su sistemi giuridici di common law, come è del resto il sistema CEDU. Atteso che al giudice nazionale, attualmente, in quanto giudice comune della convenzione europea (CEDU) spetta il compito di applicare le relative norme nell’interpretazione offerta dalla Corte di Strasburgo, alla quale questa competenza è stata espressamente attribuita dagli Stati contraenti. Infatti attualmente in caso si profili un contrasto tra una norma interna e una norma della Convenzione europea, il giudice nazionale comune deve procedere ad una interpretazione della prima conforme a quella convenzionale, fino a dove ciò sia consentito dal testo delle disposizioni a confronto e avvalendosi di tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica. Ovviamente l’apprezzamento della giurisprudenza europea consolidatasi sulla norma conferente va operato in modo da rispettare la sostanza di quella giurisprudenza, secondo un criterio già adottato dal giudice comune e dalla Corte europea ( Cass. 20/5/2009, n. 10415; Corte eur.dir.uomo 31/3/2009, n. 22644/03)[ così, ordinanze di rimessione del Tribunale di Firenze e Catania].
In conclusione termino con l’affermare che la conoscenza è indice di conflitto dell’essere umano sia a livello interiore che esteriore. Ossia sia su un piano di cognizione della propria identità e della capacità di esprimere la propria libertà nella non conflittualità esteriore, sia su un piano strettamente sociale dove ricade nella volontà di indottrinamento delle cognizioni e blocco dello sviluppo scientifico per la progressione nella conoscenza.

domenica 1 agosto 2010

Nuovo codice di procedura amministrativa

Dopo molti anni e lunghe discussioni finalmente un codice amministrativo che spazza la miriade di norme procedurali tra la legge tar e quella del Consiglio di Stato.
Avversato per molti anni dalla dottrina che prediligeva la normazione per testi unici si è ritrovata la semplicità e la velocità di consultazione della codificazione.
Dal 16/9/2010 ci saranno nuovi processi con la collaborazione della classe forense che non appesantirà le fasi processuali, accogliendo certamente con favore la nuova codificazione del processo amministrativo, sostanziando la propria azione sempre più verso un accertamento del merito innanzi al tar.
Una novità su tutte, l'introduzione dell'istituto della testimonianza seppur in forma scritta, che certamente potrà allungare i tempi del processo ma che da un sicuro equilibrio tra i riti processuali civile e amministrativo.

lunedì 22 febbraio 2010

Colpa medica e violenza privata - la nuova decisione delle sezioni unite della Corte di cassazione

1.MASSIMA


Professioni intellettuali - Medici e chirurghi - Colpa professionale - Consenso informato - Paziente sottoposto a intervento chirurgico diverso da quello consentito - Esito favorevole dell'intervento - Rilevanza penale del fatto - Esclusione - Ragioni

Non integra il reato di lesione personale, né quello di violenza privata la condotta del medico che sottoponga il paziente ad un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso informato, nel caso in cui l'intervento, è eseguito nel rispetto dei protocolli e delle leges artis, si sia concluso con esito fausto, essendo da esso derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute del paziente, in riferimento anche alle eventuali alternative ipotizzabili e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte dello stesso.

Non integra il reato di lesione personale, né quello di violenza privata la condotta del medico che sottoponga il paziente ad un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso informato, nel caso in cui l'intervento, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle leges artis, si sia concluso con esito fausto, essendo da esso derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute del paziente, in riferimento anche alle eventuali alternative ipotizzabili e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte dello stesso.


*Cass. pen., sez. Un., 21 gennaio 2009, n. 2437 (ud. 18 dicembre 2008) Ric. G.N. ed altra. (Cp, art. 582; cp, art. 610), in Riv. pen 2009, 1130 [RV24175].

domenica 6 dicembre 2009

Eccezione di inadempimento nell'azione di risoluzione contrattuale

MASSIMA
ART.1460 cod.civ.

In tema di risoluzione contrattuale l'eccezione di inadempimento bene può essere dedotta, per la prima volta, in sede giudiziale, qualora non sia stata sollevata in precedenza per rifiutare motivatamente l'adempimento chiesto ex adverso. L'articolo 1460 del Cc - infatti - non pone alcuna limitazione temporale o modale all'esperibilità dell'eccezione, salva l'ipotesi di termini differenziati di adempimento, e l'esercizio - comunque - della facoltà di sospendere l'esecuzione del contratto, a fronte del grave inadempimento della controparte, non è subordinato ad alcuna condizione e, in particolare, non alla previa intimazione di una diffida, nè ad alcuna generica contestazione dell'inadempimento.

(Cass., sez II, sent. 24 settembre 2009, n. 20614)