Il reato d’evasione dagli arresti domiciliari.
di Leonardo F. R. Ferrara
Il reato di evasione è disciplinato dall'art. 385 c.p., in cui il bene giuridico tutelato dal legislatore è il rispetto dovuto all'autorità per le decisioni giudiziarie da essa prese, il tutto basato sul presupposto di un legittimo stato di arresto o di detenzione del soggetto attivo.
La norma non dà una espressa qualificazione giuridica del termine "evadere", infatti essa recita: << Chiunque, essendo legalmente arrestato o detenuto per un reato, evade è punito con...>>, da ciò emerge che la condizione di privazione della libertà deve avvenire in forza di un provvedimento legittimo ed emesso nel rispetto della legge non solo sostanziale ma anche procedurale, pertanto in difetto di un solo elemento non si deve parlare di evasione per carenza degli elementi presupposti di legalità e legittimità.
Il reato de quo s'integra non solo allorquando si evada da strutture carcerarie, ovvero si pongono in essere quelle necessarie attività fisiche ed intellettive atte al fine di non rispettare una sentenza passata in giudicato con cui è comminata una pena detentiva privativa della libertà fisica, ma anche in una serie di casi che impongano al soggetto passivo di un provvedimento un mero obbligo di “facere” che ne condizionino l'estrinsecazione materiale del comportamento.
La particolarità degli arresti domiciliari conduce ad una duplicazione della problematica sottesa perché la misura degli arresti domiciliari va inflitta non solo come pena, ma anche come misura cautelare. Ciò comporta la necessità di un’analisi separata delle due fattispecie, in particolar modo con riferimento all’elemento psicologico.
La misura cautelare degli arresti domiciliari è quella misura che incide, come ogni altra misura coercitiva, sulla libertà fisica, o di locomozione personale, ed in vero limita la libertà di circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale e di espatriare. Per la sua applicazione devono ricorrere presupposti ben definiti:
1. gravità del delitto. Deve trattarsi di delitto, non essendo ammissibili misure cautelari per contravvenzioni. La gravità del delitto è determinata dall’entità della sua sanzione: ergastolo o pena superiore nel massimo ad anni tre (artt. 280 e 281). Le misure cautelari applicandosi provvisoriamente nel corso del procedimento presuppongono una prognosi di concreta punibilità del reato e, quindi, l’assenza di cause di giustificazione od estintive del reato o della pena ed anche il futuro diniego di sospensione della pena.
2. gravi indizi di colpevolezza (art.273, co.1, c.p.p.). questi sono dati dalle risultanze delle indagini preliminari, che seppur non idonee a formare prove certe, sono tuttavia idonee a formare prove semipiene o indiziarie.
3. esigenze cautelari (art.274 c.p.p.). Delle quali almeno una deve ricorrere, derivanti da:
• pericolo di inquinamento delle prove(art274 lett.a). Lo scopo è quello di salvaguardare le fonti di prova, per impedire l’alterazione o la soppressione delle stesse, specialmente durante la fase delle indagini preliminari;
• pericolo di fuga (art.274 lett.b). Quando ricorre il rischio che l’indagato si sottragga al processo od alla esecuzione della pena. Il pericolo di fuga non giustifica l’irrogazione della misura quando è prevedibile una condanna inferiore ai due anni di reclusione;
• pericolo di reiterazione di reati (art.274 lett.c). E’ una esigenza di difesa sociale in un ampio quadro di tutela collettiva in relazione al caso concreto che l’imputato commetta gravi delitti di violenza o contro l’ordine costituzionale o di criminalità organizzata oppure della medesima indole di quello per cui si procede. In quest’ultima ipotesi, per applicare la custodia cautelare (arresti domiciliari) la sogli di punibilità del reato è elevata a quattro anni.
Diverso il caso di esecuzione di una condanna detentiva, la quale viene espiata non in strutture carcerarie ma agli arresti domiciliari, la quale si sottrae a quanto detto per le misure cautelari e rappresenta soltanto un modo di espiazione della pena in luogo differente da quello carcerario “tout court”.
L’espiazione della pena presso la propria abitazione può essere comminata sia dal giudice rogatore della sentenza di condanna che dal giudice dell’esecuzione in conversione della precedente reclusione in penitenziario, in caso di un alleggerimento dell’esecuzione della pena, ovvero come aggravio di pena meno affittiva o di misura alternativa alla reclusione, qualora ne ricorrano i gravi requisiti necessari a tal fine, così come previsti dalla legge ed interpretati dalla giurisprudenza.
§1. Il reato d’evasione nella misura cautelare degli arresti domiciliari
Gli arresti domiciliari sono una misura che valutata la tipologia del reato, le sue circostanze e modalità commissorie, nonché le peculiari esigenze dell’imputato e la sua possibilità d’inquinamento delle prove o il concreto pericolo di fuga, si pongono in modo graduato e meno afflittivo della misura cautelare della detenzione carceraria.
Il reato d’evasione si concretizza nel momento in cui si viene meno ad uno degli obblighi che il giudice, con il provvedimento con cui concede gli arresti domiciliari, ne disciplina le modalità d’esecuzione, potendo in tale provvedimento concedere permessi per recarsi al lavoro o per recarsi presso presidi medici in caso di cure per malattie od affezioni croniche o di lunga durata.
A tutto ciò va aggiunto che l’imputato non sta godendo di una misura alternativa alla detenzione od arresto come esecuzione di una sentenza di condanna, perciò rimane un soggetto imputato di un reato, e come tale pericoloso, su cui non si è certi del suo grado di capacità a delinquere o di un suo ravvedimento, ma d’altra resta sempre un soggetto nei cui confronti e su cui il giudice non ha espresso un giudizio di responsabilità penale. Da ciò par chiaro che l’esigenza di controllo del prevenuto è molto forte non avendo l’autorità giudiziaria un chiaro quadro sul soggetto posto al suo giudizio, dovendo valutare sull’applicazione della misura cautelare in merito e con la valutazione d’elementi che, se pur gravi, precisi e concordanti, sono e restano sempre al livello indiziario.
Proprio quest’incertezza pone il prevenuto in una luce di chiaro scuro difficilmente intelligibile e come tale carico di sospetti e prevenzioni tali da giustificare una sorveglianza più attenta e scrupolosa.
Ecco perché nelle misure cautelari realizza il reato d’evasione qualsiasi comportamento difforme dal concesso e previsto, proprio perché vi è incertezza sulla responsabilità. Per cui anche il semplice allontanamento estemporaneo, e per qualche minuto, giustifica l’applicazione del 385 c.p. integrandone il reato, poiché qualsiasi azione anche la più insignificante non deve porre alcun ostacolo al controllo della polizia giudiziaria, essendo una condizione indispensabile per la fruizione di una misura cautelare meno afflittiva. Del resto ciò vale anche nel caso quando l’imputato sia autorizzato ad uscire dall’abitazione per sottoporsi a terapie mediche e si allontani omettendo di dare il prescritto avviso all’autorità di polizia (Cassazione Penale, sez. VI, sent. Del 1/7/99, n.10256).
Importante è l’elemento dell’avviso all’autorità di polizia addetta al controllo, quest’elemento è una vera e propria condizione d’efficacia dell’autorizzazione che il giudice a quo rilascia con il provvedimento degli arresti domiciliari e non una mera prescrizione modale.
Importante è qualificare in termini penali il domicilio, che a detta della Suprema Corte di cassazione va qualificata come abitazione il luogo in cui il soggetto conduce la propria vita domestica e privata, con esclusione d’ogni altra appartenenza del tipo d’aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili, che non siano di stretta pertinenza dell’abitazione stessa. Ciò al fine di agevolare i controlli di polizia sulla reperibilità del sottoposto ed altresì per evitare contatti e frequentazioni con altri soggetti, con i quali non sia stato preventivamente autorizzato ad incontrarsi.
Va precisato che a chi trasgredisce alle prescrizioni del provvedimento che applica gli arresti domiciliari è applicabile la misura della custodia cautelare in carcere, non applicandosi la condizione della previsione di una pena inferiore nel massimo a quattro anni di reclusione, di cui all’art.280, comma secondo, c.p.p., che è derogata, a norma del comma terzo del medesimo articolo, nel caso di trasgressione alle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare. Ne consegue che si può applicare la misura cautelare della custodia in carcere a chi evada dagli arresti domiciliari, nonostante la pena prevista per il reato di cui all’art.385 c.p. sia inferiore al limite dei quattro anni di reclusione, trattandosi per l’appunto di una condotta che integra una trasgressione alle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare (Cassazione penale, sez VI, sent. 22/2/2000, n.221).
§2. Il reato d’evasione nell’esecuzione di pena
In caso di esecuzione della pena inflitta con sentenza la ratio legis è quella del dovuto rispetto delle decisioni dell’autorità che le ha emanate. Il terzo comma dell’art.385 c.p. equipara la condotta dell’imputato che essendo in stato di arresto presso la propria abitazione od in un altro luogo designato e del condannato ammesso a lavorare fuori dello stabilimento penale se ne allontani, al reato di evasione disciplinato nei commi primo e secondo. L’equiparazione è a ben vedere solo in riferimento alla pena e non già al contenuto della condotta, pertanto nella struttura del reato de quo, essendo differenti le condizioni in cui vengono a trovarsi gli autori delle rispettive violazioni e dovendo ravvisarsi la ratio dell’equiparazione non nella identità delle condotte poste in essere, ma nella comunanza dell’oggetto della tutela penale, da identificare nell’esigenza d’imporre il rispetto delle decisioni dell’autorità giudiziaria.
Da ciò si evince che il terzo comma dell’art.385 c.p. costituisce una figura autonoma di reato, in specifico il reato di allontanamento dagli arresti domiciliari, il quale non richiede, per la sua integrazione, un allontanamento definitivo o la mancanza dell’animus reverendi, infatti sono irrilevanti la durata ed i motivi dell’allontanamento, salvo che questi non assurgano a dignità di esimenti.
In tema di configurabilità del reato continuato, mentre l’unicità del disegno criminoso mal si concilia con il reato di evasione dal carcere, pur in assenza di una incompatibilità ontologica, ciò non si può dire in presenza di una pluralità di evasioni dagli arresti domiciliari. Infatti in questa ipotesi ben può ricorrere l’attività criminosa cosciente e volontaria di disattendere più volte la prescrizione di non allontanarsi dal luogo stabilito per gli arresti domiciliari, a maggior ragione quando manchino tra un allontanamento e l’altro quegli eventi, quale la denuncia e l’arresto, che potenzialmente possono interrompere tale attività e richiedere un nuovo atteggiamento antidoveroso(Cassazione penale, sez.VI, sent.475 del 24.1.1997).
Ulteriore elemento da dover considerare è se sia possibile la diminuente del quarto comma del art.385 c.p., il quale recita: << Quando l’evaso si costituisce in carcere prima della condanna, la pena è diminuita>>. Anche qui l’equiparazione è solo sul quantum di pena e non sulla condotta, infatti mentre per l’evaso tout court la costituzione in carcere prima della condanna mira al ripristino dello stato di detenzione, ovvero a reintegrare l’interesse violato ed ad eliminare l’allarme sociale cagionato, premiando il ravvedimento operoso e l’evasione temporanea, avendo posto in essere, così facendo, un comportamento di minore pericolosità sociale(Cassazione penale, sez.VI, sent. 1458 del 30.10.95). Diversamente in caso d’evasione od allontanamento dagli arresti domiciliari l’attenuante del ravvedimento operoso dell’imputato può essere concesso solo quando, prima della condanna, si costituisca agli organi preposti alla sua vigilanza che abbiano l’obbligo di tradurlo in carcere o se si sia costituito direttamente in carcere.
L’attenuante in questione è in rapporto di specialità con quella di cui all’art. 62, n.6, c.p., ed ha il suo presupposto in un’attività spontanea ed efficace, cioè necessariamente produttiva di risultati idonei in concreto ad eliminare gli effetti negativi del reato, i quali consistono nell’eccessivo dispendio di tempo ed energie da parte delle forze dell’ordine nelle ricerche dell’evaso e nella sua cattura. Pertanto non è applicabile l’attenuate quando vi è il semplice rientro nel luogo degli arresti domiciliari, ad eccezione di quando l’evaso visto dagli agenti preposti alla sua sorveglianza, consapevole di essere visto, faccia rientro nella propria abitazione dove poi venga arrestato, perché così facendo pone fine allo stato di latitanza, ed è possibile equiparare questa condotta alla costituzione in carcere(Cassazione penale, sez.V, sent.1030 del 8.5.98; sez.VI, sent.3690 del 15.4.93; sez.VI, sent.1458 del 30.10.95, sez.I, sent.5303 del 6.5.98).
avv.leonardo.ferrara@alice.it
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