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mercoledì 17 settembre 2008

La base IVA nel credito al consumo

LA CORTE DI GIUSTIZIA NELLA DETERMINAZIONE DELLA BASE IMPONIBILE AI FINI I.V.A. NELLA VENDITA DI BENI CON FINANZIAMENTO



di Leonardo Francesco Roberto FERRARA

mailto:avv.leonardo.ferrara@alice.it


§1. Considerazioni generali
L'I.V.A. è un'imposta prelevata dallo Stato sul valore aggiunto di un bene o servizio, cioè sulla differenza tra il valore di un prodotto e il valore delle materie prime impiegate nella sua produzione.
L'applicazione dell'I.V.A. alle operazioni con l'estero segue regimi differenziati a seconda che si tratti di Paesi extracomunitari o Paesi appartenenti all'Unione Europea (ex CEE). Così, inizialmente tutte le esportazioni erano assoggettate all'I.V.A. in dogana. Questo regime resta fermo per le esportazioni in Paesi extracomunitari mentre è differente per gli scambi intracomunitari.
Infatti con la direttiva CE n. 91/680 del 16 dicembre 1991, recepita con gli articoli da 37 a 60 della legge n. 427/1993, non trasfusi nel D.P.R. 633, ha introdotto le operazioni I.V.A. intracomunitaria, passando da un sistema di tassazione nel paese di destinazione a un sistema di tassazione nel paese di origine. In questo modo viene meno per i beni provenienti da paesi dell'U.E. l'applicazione dell'I.V.A. in dogana; pertanto il regime delle operazioni intracomunitarie è diversificato a seconda che il cliente sia un soggetto I.V.A. o un consumatore finale.
Nei confronti del consumatore finale, l'operazione è imponibile con l'aliquota del paese U.E. in cui risiede il fornitore; quest'ultimo applicherà l'I.V.A. come se la vendita fosse avvenuta sul proprio mercato interno.
Quando l'acquirente è un soggetto I.V.A. il venditore dell'altro Stato membro non applica l'imposta, purchè gli venga comunicato che l'acquisto è effettuato da un soggetto I.V.A., allegando un «codice di identificazione»; l'operazione sarà non imponibile per il fornitore, ed il cliente dovrà emettere, con l'aliquota I.V.A. del proprio paese un'autofattura, la quale sarà registrata simultaneamente a debito e a credito, in modo che l'operazione sia equiparata a tutti gli altri acquisti del soggetto I.V.A..
Queste procedure sono un po' macchinose ma hanno consentito di eliminare le dogane interne all'U.E., evitando la detrazione d'imposta addebitata da un fornitore appartenente ad un altro Stato membro dell'Unione.
E' necessario puntualizzare la problematica delle operazioni esenti dal campo di applicazione dell'I.V.A..
Innanzitutto va rilevato che queste operazioni non comportano l'addebito d'imposta. La distinzione tra operazioni esenti e non imponibili è giustificata per via delle diversità di regime riguardanti la detrazione dell'imposta sugli acquisti; ma queste operazioni agevolano l'acquirente finale solo nella misura in cui vi sia un modesto ammontare di acquisti soggetti al tributo.
L’esenzione, infatti, diventa meno vantaggiosa quanto più l’imposta assolta sugli acquisti aumenta rispetto a quella teoricamente applicabile sulle operazioni attive, e diviene addirittura controproducente quando la prima eccede la seconda.
Si tratta però di casi difficili da verificarsi, poiché le attività esenti sono in genere «ad alto valore aggiunto» rispetto agli acquisti privati da I.V.A., come accade per banche, assicurazioni, professioni sanitarie, ecc. mentre un regime di esenzione potrebbe essere controproducente per attività industriali e commerciali (si pensi alla massa di acquisti di un'acciaieria o di un supermercato).
Si tratta peraltro di ipotesi rare poiché le esenzioni riguardano in genere settori dove il valore aggiunto è relativamente elevato rispetto agli acquisti di I.V.A.
Ipotizziamo un caso limite in cui l’I.V.A. indetraibile sugli acquisti supererebbe l’I.V.A. non addebitata ai clienti sulle operazioni attive: se all’effettuazione di sole operazioni esenti per 1000 corrispondono acquisti per 500, la relativa I.V.A. al 20% (pari a 100), sarà irrecuperabile. Se le operazioni attive fossero state invece gravate di I.V.A. al 4%, l’onere d’imposta pari a 40 sarebbe stato più che controbilanciato dalla detrazione di 25, con un saldo netto a favore del contribuente pari a 55.
L'I.V.A. è commisurata ai corrispettivi contrattuali, e ciò esclude ogni rilevanza del valore venale della prestazione, che può solo costituire un indizio di parziale dissimulazione del corrispettivo. Soltanto nelle limitate ipotesi di corrispettivo mancante ovvero espresso in natura, l'I.V.A. è commisurata al valore corrente della prestazione, includendo le concessioni di beni in locazione, affitto, noleggio e simili, anche se poste in essere da enti pubblici nell'esercizio esclusivo o principale d'attività commerciale.
Le prestazioni accessorie, come ad esempio il trasporto, il montaggio o la posa in opera scontano l'aliquota applicabile alla prestazione principale. Per la determinazione della prestazione principale è necessario esaminare le caratteristiche del caso concreto, ma il criterio di riferimento sembra essere quello del valore comparativo delle varie prestazioni. Come puntualizzato dalla Corte di Giustizia in riferimento alla direttiva del Consiglio CEE 17.05.77 n. 388 (in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d'affari - sistema comune d'impresa sul valore aggiunto, base imponibile uniforme -) in caso di trasporto gratuito dei dipendenti effettuato dal datore di lavoro mediante un autoveicolo dell'impresa, soddisfando i bisogni privati dei dipendenti risponde a finalità estranee all'impresa e ciò vale anche nel caso in cui il datore di lavoro incarichi uno dei dipendenti di provvedere al trasporto mediante un veicolo privato; tuttavia tale quadro applicativo non si applica qualora le esigenze dell'impresa, tenuto conto di determinate particolari circostanze, come la difficoltà di fare ricorso ad altri idonei mezzi di trasporto e i cambiamenti di luogo di lavoro, impongano che al trasporto dei dipendenti provveda imprescindibilmente il datore di lavoro, dato che, in condizioni siffatte tale prestazione non è effettuata per fini estranei all'impresa.


§2. La vendita dei beni con finanziamento
Particolare disciplina segue la vendita dei beni con finanziamento. Questa rientra nell'art. 10 del D.P.R. n. 633/72 recante disposizioni in merito alle operazioni esenti dall'imposta.
L'inquadramento di favore riservato a questa tipologia di operazioni si fa risalire all'esigenza di evitare un'incidenza dell'imposta sul costo del danaro prestato.
La L. 18.02.1997 n. 28 ha notevolmente ampliato il previgente ambito di applicazione dell'esenzione I.V.A. previste dal citato art. 10 ricomprendendovi, accanto ad attività propriamente creditizie, anche una serie di operazioni aventi più genericamente carattere bancario.
Ciò ha comportato un attento riesame dei presupposti oggettivi di ciascuna operazione di finanziamento e credito allo scopo di valutarne la loro riconducibilità all'art. 10 così come fu novellato.
Problematica affrontata anche dal Ministero delle Finanze con la risoluzione n. 71/E del 13.07.1998 sulle operazioni finanziarie c.d. a "tasso zero" o di credito al consumo.
Per credito al consumo si intende la concessione, nell'esercizio di un'attività commerciale o professionale, di credito sotto forma di dilazione di pagamento, di finanziamento o di altra analoga facilitazione finanziaria a favore di una persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta (consumatore).
Da un punto di vista operativo-pratico si possono distinguere i prestiti secondo che siano o non siano finalizzati, a tempo determinato o a tempo indeterminato.
I prestiti finalizzati sono caratterizzati dal fatto che il creditore verifica la destinazione del credito erogato. Tale verifica può avvenire, per esempio, tramite l'autorizzazione data dal debitore al creditore di versare la somma concessa direttamente al rivenditore del bene al cui acquisto è finalizzato il prestito.
I prestiti non finalizzati sono quelli per i quali non si richiede alcuna verifica di destinazione: apertura di credito in c/c bancario, prestito personale, prestito personale con cessione del quinto (D.P.R. n. 180 del 05.01.50 e n. 895 del 28.07.50).
Per quanto riguarda la durata nel caso di prestito a tempo determinato il rapporto tra debitore e creditore ha termine con il versamento dell'ultima rata del piano di rimborso.
Per il prestito a tempo indeterminato (revolving credit) è simile ad un'apertura di credito bancario in conto corrente, con la differenza che non sarà mai possibile avere un saldo positivo per il cliente non essendo ammesse operazioni di deposito.
Le più importanti fonti normative in materia sono le direttive CEE n. 87/102 del 22.12.86 e n. 90/88 del 22.02.90, recepite dalla Legge n. 142/92.
Il credito al consumo prima delle modifiche operate dalla L. n. 28/1997 rientrava tra le operazioni imponibili ai fini I.V.A.. Infatti il Dipartimento delle Entrate nel 1996 con la risoluzione n. 52/E del 09.04.96 escludeva l'esenzione per le operazioni di credito al consumo, prevedendone l'imponibilità per carenza di rapporto di mutuo tra le parti.
Con la L. n. 28/97 l'ambito di applicazione del regime di esenzione I.V.A. a tutte le "...prestazioni di servizi concernenti la concessione di crediti e loro gestione" ...ha consentito di ricomprendere nell'art. 10 D.P.R. n. 633/72 oltre alle operazioni creditizie, in senso stretto, anche quelle prestazioni connesse alla concessione ed alla negoziazione del credito, ancorchè erogate da un terzo, richiedendo ai fini dell'esenzione semplicemente che l'operazione di finanziamento sottenda ad un'operazione di finanziamento non necessariamente intervenuta tra le stesse parti.
L'introduzione di tale esenzione risponde pienamente a quanto previsto dalla VI Direttiva (77/388) CEE che lascia liberi gli Stati membri di stabilire ulteriori esclusioni al campo di applicazione delle esenzioni previste. Infatti la Corte di Giustizia chiarisce che "uno Stato membro può esentare la cessione di un terreno edificabile, ai sensi dell'art. 28, n. 3, lett. b), in combinato disposto con l'allegato F, punto 16, della Direttiva del Consiglio del 17.05.77 n. 77/388/CEE, nonostante il fatto che tale Stato da un lato abbia introdotto, dopo l'attuazione di tale Direttiva, la possibilità di rinunciare all'esenzione dall'imposta sul valore aggiunto per tali cessioni e, dall'altro, abbia ridotto la portata sostanziale dell'esenzione applicabile a quest'ultime, cosicchè talune cessioni precedentemente esentate sono ormai assoggettate all'I.V.A.". Altra pronuncia della Corte di Giustizia sulla congruità delle esenzioni poste dagli Stati membri "dal diritto alla detrazione dell'I.V.A., dovuta sull'acquisto di autovetture utilizzate dal soggetto passivo per esigenze inerenti alle proprie operazioni imponibili, anche quando i veicoli costituiscano uno strumento indisponibile per l'esercizio dell'attività svolta dal soggetto passivo, o anche quando questi non possono essere utilizzati per scopi privati dal contribuente”.
In realtà la giurisprudenza della Corte di Giustizia per spiegare la previsione di ulteriori esclusioni concessa agli Stati membri, muove dal presupposto che la VI Direttiva CEE - destinata ad essere applicata in maniera uniforme nella Comunità - fissa un generale principio di imposizione in virtù del quale il suo campo di applicazione abbraccia tutte le fasi della produzione e della distribuzione, nonchè il settore della prestazione di servizi. Così le esenzioni, che costituiscono una eccezione al generale principio di imposizione, non possono che essere interpretate in senso restrittivo. In tale logica, la concessione della facoltà degli Stati membri di stabilire eccezioni alle esenzioni indicate nella Direttiva va intesa in senso ampio.
Tale affermazione trova per i giudici europei una duplice ragione di fondamento:
• in primo luogo, nel principio secondo cui le Direttive comunitarie - in forza dell'art. 249, n. 3), del Trattato CE - sono vincolanti per gli Stati membri solo con riferimento al risultato da raggiungere, indipendentemente dalla forma e dai mezzi adottati in concreto dagli organi nazionali;
• in secondo luogo nella considerazione, peraltro già nota alla giurisprudenza europea, che la VI Direttiva ha lasciato un'ampia discrezionalità agli Stati membri in ordine all'esenzione o all'assoggettamento ad imposta delle operazioni interessate.
Proprio in questo quadro giurisprudenziale e normativo, si può affermare che le operazioni di vendita di beni con finanziamento possono ritenersi esenti ai fini I.V.A. perchè riconducibili a "...prestazioni di servizi concernenti la concessione e la negoziazione di crediti, la gestione degli stessi da parte dei concedenti e le operazioni di finanziamento; l'assunzione di impegni di natura finanziaria...".
Secondo quanto affermato nella risoluzione ministeriale n. 71/E del 13 luglio 1998, tale indirizzo andrebbe ricondotto al riferimento letterale, con riguardo alla fattispecie, di "assunzione di un impegno di natura finanziaria" che dovrebbe qualificare la natura dell'operazione resa dalla finanziaria alla società venditrice.
Si evince che il provvedimento ministeriale non accorda l'esenzione a tali operazioni poiché rientranti nella tipologia delle "prestazioni di servizi concernenti la negoziazione e la concessione di crediti", ma perchè ricadenti nell'ipotesi di "assunzione di impegni di natura finanziaria", potendo far così riferimento in senso ampio e analogico all'intera giurisprudenza europea in merito alla VI Direttiva comunitaria.
Del resto la VI direttiva precisa il principio di territorialità dell'I.V.A. nel capo VI "luogo delle operazioni imponibili", si propone di evitare tanto il rischio di doppia imposizione quanto quello della mancata tassazione di cespiti, come precisato dalla stessa Corte di Giustizia nelle sentenze Dudda e Berkholz, nel senso che, se non sussiste un conflitto di competenza tra gli Stati membri e quando si tratta di prestazioni di servizi puramente interne che non determinano, per quanto riguarda il diritto da applicarsi, alcun concorso di competenze, la determinazione del campo d'applicazione territoriale dell'I.V.A. va effettuata secondo le norme fondamentali di cui agli artt. 2 e 3 della direttiva che sanciscono il principio rigoroso della territorialità, e non già in base alle deroghe sancite dall'art. 9.


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